I Patagarri: “Se ti schieri, perdi fan. Ma i messaggi sociali sono più importanti”

Milano, 11 giugno 2025 – Un’estate pienissima. I Patagarri - Daniele Stefano Corradi e Jacopo Protti alla chitarra, Arturo Monico a trombone e percussioni, Giovanni Paolo Monaco a clarinetto e sassofono, Francesco Parazzoli alla tromba e voce, Nicholas Guandalini a basso e contrabbasso - sono partiti da Milano e oggi, dopo aver fatto tappa a X Factor, stanno vivendo una stagione da protagonisti sui palchi di tutta Italia. “L’ultima ruota del Caravan”, uscito da un paio di settimane, è il loro primo disco. Un album cantato e molto suonato. Un viaggio fra storie e personaggi che ricorda il mondo di Enzo Jannacci.
In tanti si aspettavano un po' l'effetto “Aristogatti”, come avevamo visto in alcune occasioni a X Factor. E invece “L’ultima ruota del Caravan” è una galleria di personaggi che spiazza. Come è nato questo disco?
“I brani che vengono richiesti in questo momento sono quelli che non hanno un punto preciso. La sensazione è che tu debba poterli ascoltare in qualsiasi momento. Con lo storytelling questo aspetto si perde, però a noi è sempre piaciuto raccontare. Anche quando facevamo i live nei ristoranti o nei bar, l’aspetto del racconto è sempre stato fondamentale. Il pubblico ha sempre apprezzato e quindi ci piaceva un po' l'idea di portare questa caratteristica anche nel disco, visto che è una cosa che ormai si fa sempre meno”.
Il disco è nato in collaborazione con il Birrificio Baladin, come è successo?
“Dovevamo pensare a quale produttore potessimo coinvolgere per realizzare questo disco. Noi in realtà non avevamo alcun tipo di idea, quindi abbiamo pensato un po' alle persone che musicalmente potessero assomigliarci, quindi abbiamo pensato a Vinicio Capossela. Abbiamo contattato quindi il suo produttore, Taketo Gohara, che ha avuto l’idea di andare per 10 giorni a Piozzo in questa ex birreria dove c'è un tendone da circo”.
Tanti artisti adesso cercano la hit per emergere. Voi non lo fate, eppure il pubblico vi segue. Le storie piacciono?
“Sì, sicuramente le storie hanno un peso fondamentale. Poi essendo sei musicisti comunque anche le idee musicali all'interno dei brani sono variegate e cerchiamo di fare in modo che anche la parte strumentale abbia diverse influenze. Gran parte del disco è suonata senza un metronomo e in presa diretta. Per come si fanno i dischi adesso è abbastanza particolare e quindi forse anche per quello si stacca un po' da quello che c'è attorno. Risulta anche un po’ ‘sporco’”.
Arriviamo al clamore suscitato dal vostro “Palestina libera” sul palco del Concertone del Primo Maggio. Come è andata?
“Non l’abbiamo deciso in quel momento, è una cosa che facciamo da un sacco di tempo. La prima volta in cui abbiamo unito ‘Hava Nagila’ a ‘Palestina libera’ è stato il 25 aprile dell’anno scorso. Anche suonare ‘Bella ciao’ ovunque è una cosa che facciamo spesso. Noi abbiamo frequentato i peggiori baretti di Milano, alcuni bellissimi e altri in cui ci siamo trovati in situazioni in cui ci dicevano ‘So che la suonate, non fatelo'. Ma se c'è la possibilità di schierarci lo facciamo sempre. Anche nei testi del disco si vede. Il disco lo abbiamo registrato a febbraio e alcuni pezzi li avevamo già da tempo, quindi non è una novità per noi il fatto di lanciare dei messaggi. 'Palestina libera' al concerto del Primo Maggio? Lo rifaremmo, a maggior ragione perché ormai la situazione è diventata così palese che nessuno può tirare in ballo scuse o attenuanti. Noi siamo stati chiari nella risposta a chi ci ha accusato di antisemitismo. Abbiamo chiesto la pace per tutti i popoli, dal primo all’ultimo. Nel momento in cui uno di questi popoli cerca di sopraffare gli altri o cacciarli, c’è qualcosa che non va e quindi va assolutamente fermato".
Un artista quindi deve dare messaggi?
“Dipende. L’arte deve essere molto libera e ognuno decide di farla per motivi completamente diversi. Ognuno deve essere libero di seguire ciò che crede. Quando si autocensura per paura di chissà cosa, lì iniziano problemi di coerenza con se stesso e con la propria arte. Se ti schieri, parte del pubblico la perdi perché è naturale. Noi crediamo al messaggio sociale che i nostri testi mandano, è importante farlo passare anche nella nostra musica”.
La vostra canzone preferita nel disco?
“'Il pollo' sicuramente. Anche ‘Diavolo’”.
Quella che vi ha creato più difficoltà?
“Senza dubbio ‘Il camionista’ per la ritmica. Anche ‘Scimmia’, perché è una canzone un po’ diversa, e ‘Mutui’”.
C'è un artista con cui vorreste collaborare?
“Caparezza ci piacerebbe molto. Anche Goran Bregovich. Sayf, che abbiamo conosciuto poco tempo fa, ci piace molto. E poi il sogno è Eric Clapton”.
Cosa augurate ai Patagarri?
“Fare tanti dischi e tanta musica, restare insieme per tanto tempo”.
Il Giorno